di GM

Chiunque, certamente, avverte come i fenomeni meteorologici estremi si manifestino con una violenza sublime e spettacolare. Le piogge sempre più forti mettono in crisi il sistema idrologico, il disboscamento e l’urbanizzazione delle piane alluvionali non fanno che acuire il problema. Eppure, una volta, le feste primaverili festeggiavano lo straripamento dei fiumi e non i suoi gravi disastri per la pubblica sicurezza. L’alluvione era il vivere quotidiano, un patrimonio culturale e ambientale. Questo perchè è un fenomeno naturale che non si aveva intenzione di “limitare”. Poi si cominciò a credere che fosse possibile prevenire un’alluvione e limitarne i danni. Questo ha portato piano piano a realizzare interventi strutturali di grandi proporzioni: dighe, argini, terrapieni, deviazione dei letti dei fiumi. Oggi l’Unione europea ha seguito vari indirizzi di ricerca, nell’ambito di una strategia generale intesa a limitare gli effetti devastanti delle alluvioni. Vi sono due approcci principali: prevedere e gestire il rischio alluvione; e gestire le risorse idriche in modo integrato a livello di bacino idrologico.  Se, per il primo aspetto, ci si vanta di aver attuato notevoli investimenti nello sviluppo di tecnologie per la previsione, tali da annunciare tempestivamente dove e quando colpirà l’alluvione e da modellizzare il comportamento a lungo termine dei fenomeni meteorologici è pur vero che i provvedimenti strutturali riescono solo a spostare il problema in altre zone e a creare nuovi problemi. E soprattutto hanno conseguenze disastrose in caso di cedimento strutturale, come si è verificato a Vernazza. Questo sentimento di previsione anticipata degli eventi ha permesso a molti di vedere notevoli possibilità di guadagno speculativo anche su terreni estremamente fragili e provati. Si rassicurano le comunità sulla sicurezza delle previsioni e sull’impossibilità di eventi catastrofici per autorizzare la violenza delle costruzioni, senza altra utilità che quella del guadagno di pochi (è il caso del parcheggio di Monterosso, dell’outlet di Brugnato…) Ma quali sono state effettivamente, nei luoghi dove si sono verificati questi eventi, le valutazioni sui rischi delle strategie di pianificazione urbana e le prospettive di organizzazione sociale delle diverse comunità? La gestione dei bacini idrologici è diventata uno strumento indispensabile, delegato alle istituzioni. Il suo scopo consiste nel migliorare i meccanismi naturali di protezione dalle alluvioni: tutela dei boschi, del manto di vegetazione, delle zone umide e del suolo. Questo approccio rispettoso dell’ambiente protegge gli ecosistemi permettendo al tempo stesso lo sviluppo sostenibile del territorio e delle risorse idriche. Certamente questo sarebbe vero se le istituzioni se ne occupassero invece di passare il tempo ad ingrassare. Chi si deve occupare della tutela dell’ambiente in cui vive? Chi meglio di chi “vive” il territorio comprende le complesse interazioni che avvengono tra i fattori fisici, ecologici, climatici e umani. L’alluvione ha annacquato tutti gli strumenti, già logori, della vita sociale. Questo perchè, evidentemente, le potenzialità di peggiorare una situazione sono oggettivamente più semplici e rapide rispetto alla capacità di migliorare gli eventi. Le bombe d’acqua avrebbero dovuto suggerire di rendere desolanti le aspettative e le prospettive del modello economico che ha partorito il disastro, avrebbe dovuto suggerire prudenza nei confronti dei maghi stregoni dei modelli di prevenzione. Soprattutto per quanto riguarda i metodi e gli  indirizzi delle attivitá commerciali, dell’agricoltura, dei servizi pubblici e di tutte quelle attività avvelenate dal controllo dello Stato. Tutto era stato raso al suolo e tutto si vuole ricostruire.  I partiti ed i loro rispettivi leader, allo stesso modo dei giornalisti, hanno mostrato, con fermezza, il proprio atteggiamento demagogico ed opportunistico, presenziando nei giorni di festa al seguito di macchine fotografiche, flash e telecamere. Affrettandosi a diffondere il verbo del “tutto é bene quel che finisce bene”. Quando queste facce da prima di copertina parlano di ripresa, alludono al rapido rinascere delle attività del paese.  Delle cause del disastro nessuno si interroga. Per contrastare l’atteggiamento diffuso  (nonostante le esperienze che dovrebbero essere note e che riguardano i terremotati dell’Aquila) di quanti continuano ad aspettare, da Roma o dall’Europa, la ricostruzione, riteniamo di rispondere, per mezzo dell’azione diretta, a dimostrazione che é possibile e  necessario applicare ai problemi presenti l’azione libertaria della libera iniziativa, attraverso associazioni locali autonome. È nato un comitato che si propone lo scopo di autogestire il territorio, condividere le fatiche e le soddisfazioni che verranno attraverso il ripristino del territorio, la formazione di gruppi di volontari per la coltivazione di orti e frutteti, la costruzione di muretti a secco, la ricerca e la sperimentazione di metodi alternativi di produzione di energia e consumo e svago estranei alle logiche di mercato.

Ricreare uno spirito di comunità e di condivisione è il nostro scopo. Gli sforzi che si stanno compiendo per la ricostruzione del paese sono concentrati attorno alle attività economiche a dimostrazione del fatto che la premura delle istituzioni é quella di ripristinare lo stato di assoggettamento al potere economico. Si ricostruiscono le comunità facendo riaprire negozi e attività commerciali. Se é indubbio il fatto che i commercianti abbiano subito pesanti perdite e che la popolazione sia assoggettata al dominio  di tali attività, non si puó non considerare il fatto che la priorità sia, invece, quella di rimettere in sicurezza e rendere abitabili i luoghi colpiti dal disastro, senza delegare alle istituzioni ed alla propaganda elettorale dei partiti politici, il compito di gestire  la conservazione e la ricostruzione del territorio. Nessuno si interroga sulla causa di tali disastri. L’umanità che abitava questi luoghi é stata spazzata via dalla natura che si ribella alle nostre attività, come farebbe il corpo umano con una malattia.  I muretti a secco, che sono il motivo di orgoglio di questo territorio, sono crollati perché gli uomini hanno smesso di occuparsi delle campagne a causa del fatto che é diventato piú conveniente e meno faticoso fare profitti sfruttando il consumismo ed il turismo commerciale. Cosentino, ex commissario del parco nazionale delle Cinque Terre, ha affermato che i giovani non sanno nemmeno come si costruiscano e come si rimettano a posto i muri caduti. La verità é un’altra. Occuparsi delle terre non é remunerativo e soprattutto piú faticoso che aprire un bar nelle vie di passeggio dei milioni di turisti che invadono ogni anno questi luoghi. Le attività commerciali utilizzano prodotti per il consumo che derivano dalle piú remote località, imballati con plastica e trasportati per chissà quanti chilometri.  Non sono previste forme di incentivo per l’utilizzo di prodotti a km 0 e così i negozi “comprano e vendono”. Il risultato reale delle politiche ambientali sul territorio é stato quello dell’abbandono delle coltivazioni locali a favore della grande distribuzione commerciale. Se i giovani non si occupano della terra non é per egoismo ma perché piuttosto il costo degli immobili é alle stelle, perché si é perso un senso di comunità a vantaggio di una mentalità che fa percepire la ricerca del profitto e della soddisfazione frenetica di bisogni indotti la ragione delle esistenze umane e in questa logica di perversione dell’umanità non ti permette di lavorare la terra ed avere un’esistenza dignitosa. Eppure, abbiamo scoperto che esiste una cosa ancora meno dignitosa. E’ l’arroganza di una mentalità che dobbiamo rovesciare. Quella del credere che il modello di sviluppo esistente sia l’unico modello praticabile, quella di ritenere che bisogna pagare per avere, che dobbiamo lavorare per accumulare e vendere e non perdere occasione di offendere le nostre intelligenze ed i nostri gusti personali, uniformando un paese alle logiche affaristiche.

A quanti non si vergognano di fare prediche dall’alto dei loro scranni sventolando quattrini e sfoderando penne, rispondiamo che le vostre belle parole per noi valgono meno delle vostre alte cariche.

Rifiutiamo le logiche dalle seggiole che riscaldano sederi flaccidi, siamo un comitato orizzontale, tra di noi non ci sono capi, non veniamo pagati per fare quello che facciamo, lo facciamo e basta. Le nostre decisioni vengono prese all’unanimità. Non ci importano i principi di maggioranza. Ogni euro ricavato come utile dalle nostre attività viene utilizzato per finanziare i progetti futuri.

Siamo al punto zero, é il momento di darsi da fare come la furia dell’acqua ha fatto con noi. Ognuno è responsabile della propria vita e delle proprie scelte. L’autogestione può potenzialmente diffondersi ovunque… e questo noi lo incoraggiamo. In sostanza finisce peggio solo quando non ci interessa davvero, quando si dice “eh ma tanto…” e si abbandona.