2012 Aprile

Aprile 2012


Legére torna dopo tipo un anno di silenzio, questo il sommario del n°3:

  • No Tav
  • Antifascion
  • Piccoli cenni storici su come il fascismo si è manifestato anche dopo la Liberazione
  • Anonymous
  • Carbone e società
  • RoboComic
  • A sette mesi da un’alluvione
  • Vernazza chi comincia male finisce peggio
  • ASG: quando il nucleare torna a bussare alla porta…
  • Capitale Naturale
  • ZTL
  • Spazio Recensioni: Torino HC
  • Intervista ai Merkawa
  • Resistenze
  • il Crucimerda

il nuovo Legére lo puoi scaricare qui: legére n°3_web , pesa circa 11 MB…

tutta la roba della fanza è comunque postata nel blog, basta che fai un giro…


Sta tutto qui, in questo concetto fattosi slogan, lo spirito della resistenza in Val susa, al folle progetto del treno alta velocità (TAV) meglio conosciuto come treno alta voracità o nocività… Il movimento No Tav, un variegato insieme di persone della valle e non, arriva ai giorni nostri ancora più forte, unito, vincente di qualsiasi altra stagione, in oltre 15 anni, e lo vediamo in questo ultimo periodo. La Tav è un opera inutile, ecologicamente distruttiva, economicamente negativa, se passa infine, le conseguenze potranno solamente che essere maligne, per tutti. Per la sua realizzazione sono previsti almeno 15 anni…questo a costi spropositati, e è facile immaginare come poi questi costi raddoppieranno, visto che siamo in italia…un prezzo abnorme, alla faccia del cosiddetto sociale!

Per ogni questione tecnica e dettaglio, rimandiamo gli interessati al sito in questione: www.notav.info. Perchè qui, vorrei affrontare il problema, che secondo me, e lo si percepisce anche passando qualche giorno in valle, dovrebbe preoccuparci di più. Un problema che non sminuisce quello economico e tecnico, ma che riguarda assai più da vicino quelli che saranno i nostri figli e nipoti, la terra che lasceremo a loro… L’AUTODETERMINAZIONE di una valle, di una comunità da una parte, l’arroganza e violenza degli interessi economici di un sistema tecno-industriale dall’altra. Le vere minacce della questione Tav oggi, in Val Susa e  in Italia, sono anche e sopratutto la capacità e le possibilità di una comunità che non vuole accettare decisioni prese dall’alto, e quindi se questa volontà popolare non riuscisse ad impedire queste decisioni. La strenua determinazione di questa gente è vissuta oggi, come ieri la vivevano i partigiani sulle stesse montagne, come un vivo palpabile RESISTERE – ESISTERE. ESISTE, la valle, come comunità vera, quantomeno ritrovata sul fare, sul viversi nei turni sulle barricate, nella solidarietà genuina, nelle relazioni umane che si sono rafforzate o maturate, nella condivione di pensieri e pratiche, nei saperi di un popolo alpino che ritrova la ricchezza storica, reale proprio vivendosi come tale… RESISTE per questo, esistendo nella quotidiana resistenza, nella socialità in strada, nella lotta e nelle giornate qualsiasi, lungo i sentieri tornati ad essere protagonisti e testimoni storici della fame di libertà.. la forza in più di questo movimento, è quella di essere vivo e reale proprio nell’insieme, ed è qui che non c’è spazio per mediatori, leader; la vita nei presidi e la composizione dei cortei e dei blocchi, sono un fiume in piena che raccoglie le proprie acque da mille rivoli. La creatività popolare non viene rappresentata né mimata; semplicemente, esiste. La Val Susa mostra come il governo, ogni governo, sia per sua natura tiranno, fascista per quanto ben celato dietro all’estetica democratica; imporre i propri interessi con la forza, manipolare la comunicazione, impiegare l’esercito, è banalmente scoprire che i governi combattono le guerre fuori e dentro i confini, e che il nemico siamo noi. La democrazia sta nelle cariche della polizia come nel chiedere ai valsusini un dialogo e ribadendo che l’opera va fatta, mentre la repressione continua; in altri tempi, in altri paesi questo si chiama fascismo…e meno male che il solito tentativo di dividere i “buoni” dai “violenti” questa volta, da un intera valle, è stato respinto al mittente ribadendo che “sì, ci stiamo provando, stiamo resistendo, ma loro sono ben equipaggiati, hanno caschi, manganelli, usano idranti e recinzioni.”. Niente male, alla faccia dei buonisti e dei sinceri democratici! Questà è la volontà popolare! Un movimento popolare, che ha imparato sulla propria pelle il prezzo da pagare per rivendicare l’AUTODETERMINAZIONE, altrettanto dove porta la delega, in attese perlopiù mal ripagate… Questo è il punto, il messaggio che comunica questa gente, della volontà popolare che si scontra naturalmente contro gli interessi di pochi, dei potentati. Si tratta di una breccia nell’epoca in cui viviamo, una lotta per una vita più dignitosa e più intensa. Vincere o perdere. La solidarietà può partire anche da qui, deve partire da noi. D’altronde, le montagne scendono al mare, l’aria che respiriamo è la stessa, il vento si porta un po’ di questa libertà, adesso. Per chi la vuole annusare, conoscere, scoprirla deve rincorrerla, afferrarla. Oggi.

 

Il fascimo è autoritarismo quanto violenza, ma non solo. lo vediamo con le celebrazioni dei martiri delle Foibe, ovvero nel rivendicare per i propri interessi un evento tragico, facendolo passare alla fine come mera propaganda vittimistica, al pari del 25 aprile, ad esempio, per parte della sinistra  istituzionale e non. Lo scritto che segue deriva dalla necessità di una critica al populismo reazionario di movimenti come CasaPound, all’ombra del 10 febbraio, giornata dei martitri delle Foibe, che ha visto scendere in piazza un corteo di antifascisti. è comunque certo che se Casa Pound fà con le Foibe del vittimismo utile ai suoi interessi, non da meno sono le altre forze partitiche che sempre più, in un epoca di forzata pace sociale, vorrebbero confondere le idee e la storia riguardo alle “vittime” ed ai carnefici…è risaputo che la storia la fanno i vincenti, infatti oggi questa viene rivista, modellata, corretta..fino a quando?

Il secolo fa un giro quasi completo. Il fascismo, come movimento, è nato nel ventennio di quello scorso. Quelli, vivi, che lo hanno vissuto sulla propria pelle, sono sempre meno. Gli ultimi che hanno avuto la fortuna di avere un nonno che gli raccontava della guerra e delle camicie nere avranno si e no 35 o 40 anni. La cultura orale si spegne per forza di cose se figli e nipoti non si occupano di tramandarla, e se così è, i più giovani non possono raccogliere questa eredità. Tutta l’informazione che ci piove addosso, i libri di storia e internet non sostituiscono allo stesso modo questa mancanza. Quando la memoria è fuori fuoco il fascismo torna “di tendenza”. Qualcuno lo fa passare per un nuovo fascismo “democratico”, travestendolo da rivoluzionario, dando una nuova estetica a vecchi slogan, tra il futurismo e D’Annunzio, l’ordine e la bandiera, ecc,ecc….Ciò è favorito anche da un governo e da una controparte di centrosinistra che negli ultimi anni si sono affidati soltanto a parole chiave, come dei motori di ricerca; parole come sicurezza, paura, sia essa della perdita di qualcosa o di un nemico spesso identificato nell’immigrato, criminale per vocazione. Un governo che non ha esitato a sventolare idee di ronde e identificazioni di stranieri con impronte digitali sembra fatto apposta per il ritorno di un’autorità forte. Dentro questa nube nera, cavalcando l’ondata populista delle soluzioni facili ai problemi complessi, nel 2008 nasce CasaPound come “centro sociale di destra” quindi non un partito, bensì un’associazione fascista che ha intrattenuto, dal principio, rapporti strettissimi con Lega e PDL, presentando candidati nelle loro liste, ricevendo finanziamenti e partecipando alla spartizione dei fondi. Un cosiddetto “movimento” che, mentre da un lato continua con le violenze, (la piu eclatante risale al 13 dicembre a Firenze contro tre senegalesi) di giorno si presenta”aperto”, “plurale”, “innovativo”, occupa case e promuove manifestazioni contro il costo degli affitti, organizza spettacoli, iniziative culturali e aggregative e ha una sezione giovanile seguitissima tra gli studenti. La struttura, le campagne politiche e lo stile comunicativo di CasaPound rappresentano un vero e proprio punto di forza. Gli “squadristi del terzo millennio” parlano un linguaggio diverso dai vecchi fascisti e sfruttano appieno le potenzialità della rete: su web dispongono di un sito che funge da portale per tutte le iniziative dell’associazione, una radio, una tv.  La loro reputazione di giovani innovatori li ha fatti entrare nelle grazie del Partito Nazional DemocraticoTedesco NPD, che cerca di individuare strategie per costruire una rivoluzione culturale di destra che faccia presa, appunto, sulle nuove generazioni. è importante non prendere la situazione sotto gamba, considerando il fascismo come un periodo morto e sepolto anni fa, dato che in tutta Europa, negli ultimi 10 anni, i gruppi di estrema destra sono aumentati vorticosamente e ovunque crescono le aggressioni ad attivisti politici, immigrati, omosessuali e rom. è importante mantenere una linea che parli di antifascismo anche in modo preventivo, partendo da quel vuoto sociale e culturale nel quale il fascismo ha potuto, nel tempo, attecchire. Fare contro-informazione è un passo, magari impegnativo quando siamo affannati a inseguire troppi eventi dettati dai tempi, ma che è necessario per contrastare tutti quei momenti in cui il revisionismo e la cultura consumista si fanno strada nella società. è importante informare e portare critica radicale, in città e tra la gente, ai piani di chi comanda e dispone dei mezzi di controllo e gestione del territorio, così come creare altra socialità e dotarsi di un linguaggio semplice. è importante attuare azioni incisive e che diano il senso della solidarietà tra chi vive, in ogni dove, la ferocia e l’inesorabile sete di dominio dei padroni che siano essi democratici, progressisti o più dichiaratamente fascisti. Le condizioni di vita a cui siamo destinati tutti possono cambiare solo se tutti insieme, una volta che sapremo riconoscere gli amici e i nemici,torneremo a lottare vivendo…

Abbiamo deciso di prendere in considerazione alcuni avvenimenti storici,  per sbugiardare il sistema di dominio attuale, perché la lotta al fascismo in ogni sua forma, non si è mai fermata. Non sarà la nostra un’apologia di come siamo vittime al cospetto della storia ufficiale, semplicemente vorremmo proporre un piccolo elemento di discussione, per rivendicare il nostro presente , in cui lo stato ha responsabilità di violenza, al pari dewi carnefici fascisti. I singoli episodi verranno approfonditi  in seguito, per le prossime uscite di Legére, o per il blog di esso. Crediamo che il fascismo si combatta diffondendo le nostre argomentazioni, condividendo modalità antiautoritarie; la guerra tra bande è la lettura volutamente mistificata  che il potere dà alla nostra militanza attiva,  per allontanare da sé la pratica antifascista.

Iniziamo a ricordare l’anno 1922, in cui La Spezia perse per mano fascista, la tipografia ‘La Sociale’, luogo di scambio rivoluzionario, condotto da Pasquale Binazzi e Zelmira Peroni; per i primi vent’anni del secolo XX tra via de Nobili e l’angolo con via Roma, furono stampati il giornale anarchico Il Libertario ed una serie di pubblicazioni di propaganda. Venne distrutta da un incendio appiccato da una squadraccia che tentò anche di raggiungere

Binazzi all’ospedale dove era ricoverato. Le autorità locali si sono limitate ad aggiungere alla toponomastica cittadina una via dedicata all’ “agitatore libertario”, un esempio di proto-compensazione storica che a noi non basta. Durante il “ventennio”, gli anarchici, strenui oppositori al regime, subirono più che mai la repressione, ma neanche con l’8 settembre vennero mai liberati ufficialmente dalle carceri e dall’esilio. Nel confino di Ventotene, ad esempio, i compagni lì imprigionati, riuscirono a scappare, grazie alla fuga dei loro carcerieri; uno di questi, Marcello Guida, si distinse quasi venticinque anni dopo, da questore (della Repubblica) di Milano, per l’assassinio di Giuseppe Pinelli, che fu anche giovane partigiano. Con la cosiddetta Liberazione, il potere passa dalle mani del fascismo alle mani della  democrazia, ed il completamento della giustizia sociale contro la dittatura mussoliniana, continua a non avvenire.

Alcuni anarchici antifascisti rimangono rinchiusi nelle democratiche galere. Il caso di Belgrado Pedrini è grottesco: egli viene condotto in carcere, dopo la Liberazione, per un episodio accaduto nel 1942. Costretto a riparare a Milano fu sorpreso ad affiggere alcuni manifesti che invitavano la popolazione all’insurrezione contro la guerra. Intervennero le solite solerti forze dell’ordine, con le quali ne scaturì uno scontro a fuoco. Il nascente stato democratico gli presentò il conto. Pedrini uscì dalla galera solo negli anni settanta, grazie ad una campagna sociale a suo favore. Neanche la grazia del presidente della repubblica lo favorì immediatamente, (nel corso della sua permanenza in galera aveva tentato di evadere, avrebbe dovuto ancora scontare tre anni). Nel finire degli anni settanta, apparentemente lontano dal periodo buio, viene rilasciato Giovanni Marini che uccise, nel 1972, per difendere sé stesso ed altri due compagni da un’aggressione, un appartenente del fronte universitario fascista. Anche in quel caso la giustizia borghese si seppe far notare per la sua ottusità. Si distinsero persino i partiti della sinistra, tradizionalmente antifascisti, che dipinsero Marini come uno sciagurato. In quel periodo vi fu una campagna di informazione in suo sostegno, fortemente voluta dal Soccorso Rosso che fece emergere legami tra l’aggressione fascista ‘fallita’ e la compiuta strage di Piazza Fontana.

A Pisa, quarant’anni fa, Franco Serantini (nella foto), venne fermato per sempre dalla ricorrente e vigliacca brutalità poliziesca, durante una manifestazione di opposizione ad un comizio fascista. Vi furono scontri con la polizia e Serantini ebbe la peggio; fu picchiato sul posto e condotto in carcere. Lì continuarono le violenze e le vessazioni. Fu abbandonato ormai esanime. Morì in solitudine, anche per mano dei medici carcerieri.

(Continua…)

Appello per una manifestazione nazionale a Pisa

Franco Serantini faceva parte del gruppo anarchico Pinelli di Pisa, che aveva sede in via San Martino. La volontà di lottare per una società di liberi e di eguali lo univa ai compagni ed a tanti altri giovani proletari, in una fase di grande fermento sociale; era sicuramente una pagina nuova della sua giovane e difficilissima vita, che aveva conosciuto l’abbandono, l’orfanotrofio e la durezza delle istituzioni. L’impegno di Franco si dispiegava nelle iniziative sociali di quegli anni, come l’esperienza del “mercato rosso” nel quartiere popolare del CEP, ma anche, in senso specificamente politico, nella campagna contro la strage di Stato, per la difesa della memoria di Pinelli, per la scarcerazione di Valpreda e di altri compagni. Dopo le grandi lotte del ‘68 e del ‘69, padroni e fascisti cercavano di rialzare la testa rispondendo con la strategia della tensione e sferrando una feroce campagna antianarchica.

Il 5 maggio del 1972 Franco partecipa ad una presidio contro il comizio del fascista Niccolai. Il presidio viene duramente attaccato dalla polizia. Franco viene circondato sul Lungarno Gambacorti da un gruppo di poliziotti del I° Raggruppamento celere di Roma, e pestato a sangue. Portato nel carcere Don Bosco, Franco sta male, ma le sue condizioni vengono ignorate, nonostante si aggravino rapidamente. Dopo due giorni di agonia e coma, Franco muore. E’ il 7 maggio 1972. I suoi funerali vedono una grande partecipazione popolare.

Anno dopo anno, si susseguono le manifestazioni di piazza in sua memoria. Inoltre, a Torino gli viene dedicata una scuola, a Pisa una lapide viene collocata all’ingresso di palazzo Thouar, dove Franco visse nell’ultimo periodo della sua vita. Negli anni nascerà in città la biblioteca a lui intitolata, e nella piazza S. Silvestro, nota a tutti come piazza Serantini, verrà posto un monumento dedicato a Franco, dono dei cavatori di Carrara.

In una situazione sociale e politica come quella che stiamo attraversando, in cui aumenta la stretta della repressione, in cui si giunge persino a parlare di leggi speciali contro gli anarchici, sentiamo la necessità di unirci in un momento di lotta comune. Per questo gli Anarchici Toscani invitano tutti i compagni a partecipare a livello nazionale alla manifestazione del 12 maggio. Una manifestazione che porterà in piazza non solo una parte della storia del Movimento Anarchico, ma anche un aspetto importante della memoria della città di Pisa.

A 40 anni di distanza da quei fatti siamo nuovamente di fronte ad un attacco feroce da parte dello Stato e dei suoi apparati repressivi contro ogni manifestazione di dissenso. Dai recenti arresti ai danni dei compagni e delle compagne del movimento NO TAV che da venti anni si oppone alla costruzione dell’alta velocità in val di Susa, passando per gli innumerevoli episodi di repressione e costante minaccia che gli apparati repressivi operano, ormai quotidianamente, nei diversi contesti di lotta. E accanto alla repressione attuata con manganelli e lacrimogeni, quella pervasiva e diffusa del controllo sociale contro tutti coloro che muovono una critica radicale al paradigma dominante e desiderano sperimentare la praticabilità di un metodo e di un agire basati sulla libertà, sulla giustizia sociale, sull’eguaglianza reale e soprattutto sulla solidarietà. Perché tutto questo è pratica rivoluzionaria. La repressione ed il controllo sociale si realizzano massimamente nelle istituzioni totali e nelle strutture detentive. Ecco dunque le politiche razziste e la reclusione e deportazione dei migranti in istituzioni repressive come i CIE; ecco la recrudescenza neofascista, alimentata dalle istituzioni, dalla chiesa, dai padroni. Una violenza che si scatena, come nei casi di Torino e di Firenze, ora contro i rom, ora contro lavoratori senegalesi, ora contro qualsiasi settore sociale marginale.

Si cerca di dividere il fronte degli sfruttati, sempre più esteso a causa degli attacchi alle generali condizioni di vita, alimentando l’odio dello straniero e la rottura di meccanismi di solidarietà. In questo contesto, per i governi risulta fondamentale rafforzare il razzismo e il fascismo. Si rende quindi necessario oggi come 40 anni fa combattere con la solidarietà ogni forma di fascismo, razzismo ed esclusione. Per una società che spezzi le catene dei confini fisici e mentali che attualmente ci vengono imposti ed entro i quali ci vogliono costringere.

Facciamo appello a tutti coloro che vorranno scendere in piazza per ricordare Franco Serantini, anarchico, rivoluzionario. Facciamo appello a tutti coloro che vorranno scendere in piazza contro la repressione, contro il razzismo,

contro ogni fascismo.

Per una società di liberi e di eguali.

Anarchici Toscani

per info/adesioni:

anarchicitoscani@autistiche.org


Riepilogo delle puntate precedenti… Il collettivo (o il nome collettivo) Anonymous sta facendo discutere molto di se, gia da mesi (anni). Autogestione, decentralizzazione ed anonimato, uno spiccato spirito libertario, ed anticapitalista offrono una cornice nella quale inquadrarli.

Attacchi, dichiarazioni, arresti, dimostrazioni, interviste ad esperti (ma lei crede che… e di qui tutto un corollario di paranoia), guerra psicologica, bombe digitali che scoppiano nei cieli della Rete, frantumando vetrine ed esponendo banche dati.

A cominciare da 4chan, l’imageboard (tipo un forum, ma basato piu che altro sulle immagini), dal quale sembrerebbe essersi sviluppato questo progetto, lo sviluppo delle attivita’ e’ stato graduale negli anni, assumendo toni via via differenti. Dall’iniziale “we do it for the lulz” di matrice piu giocosa ed irriverente, con il trascorrere del tempo si passa ad una maggiore coscienza di sè come individuo collettivo, delle proprie capacita’, possibilita’ ed inevitabilmente doveri.

La tutela dei diritti, nella Rete come nella realta’ (inscindibile dai mezzi che consentono lo status quo), e’ il principale oggetto delle azioni di Anonymous.

Laddove sia possibile fare la differenza, allora tale possibilita’ diventa necessita’. Dagli iniziali attacchi verso siti o individui fascisti, razzisti o pedofili, si passa alla guerra alla chiesa di Scientology (culto “in” tra i ricconi d’oltreoceano, una multinazionale con tanto di centri di ricerca tecnologica e, manco a dirlo, un influente gruppo di potere), sfociata non solo in episodi di guerra/guerriglia digitale (reciproca; la CoS attacco’, a detta degli Anonymous, il sito della Epilepsy Foundation of America, riempiendolo di animazioni che avrebbero potuto risultare in crisi epilettiche da parte di un osservatore e rivendicandolo a nome di Anonymous). Agli attacchi contro il governo Iraniano, durante le presidenziali del 2009, compiuti insieme a The Pirate Bay, per garantire la libera circolazione delle informazioni, agli attacchi contro chi aveva fatto uso di un loro slogan senza pero’ agire come Anonymous. Alla battaglia contro quelle industrie cinematografiche di Bollywood e la MPAA (la siae dei film americana), che avevano assoldato una compagnia per bloccare (con tecniche analoghe a quelle usate da Anonymous) quei siti che violavano i copyright dei quali erano detentori. Contro Sony, che aveva scatenato una causa contro il programmatore che aveva permesso di eseguire codice non previsto dal produttore sulla sua PS3.

Si e’ schierato a favore di Assange e del suo WikiLeaks, attaccando Visa, Mastercard ed altre aziende del settore. Ancora attacchi contro siti governativi del Medio Oriente e dell’Africa, contro partiti politici di destra. Contro aziende di consulenza per la sicurezza informatica contrattuate dallo stato americano, contro la Bank of America. Contro coloro che avevano provocato la chiusura di Megaupload, hanno attaccato il Dipartimento di giustizia, MPAA e RIAA, FBI e Warner Bros. Per concludere, qui da noi, hanno attaccato Vitrociset, azienda che si occupa di servizi e sicurezza informatici per pubblica amministrazione e forze dell’ordine (come dire, sapete a chi state affidando i vostri sistemi ed i dati ivi contenuti?). Per concludere, freschi di questi giorni, gli attacchi ai siti del Vaticano e di Radio Vaticana, bucati per ben tre volte.

La pubblica esposizione dei cadaveri delle home page (vetrine, e dunque forma e dunque immagine, cioe’ $oldi) o quella delle debolezze dei sistemi informatici di governi, forze dell’ordine, ultracorporazioni e lobby, fa sembrare che in certa misura, il divario di mezzi, di possibilita’ di combattere ad armi pari, tutto sommato non sia cosi ampio. D’altra parte l’informazione e la sua spettacolarizzazione onnicomprensiva abbracciano tutto e tutti, ed e’ di pochi verso praticamente tutti. Non e’ vero che la visibilita o la possibilita di far arrivare idee sia alla portata di ciascuno. Internet e’ un piccolo universo, tanto ampio ed affollato di contenuti e di ego digitali, come e piu del mondo reale. Ed emergerne non e’ banale.

Questi hacktivisti stanno mandando a gambe all’aria mezzo mondo. Se siete un gruppo di potere identificabile, o se lo state difendendo, aspettatevi una visita da parte di costoro. Difensori della legge, consulenti di sicurezza, paladini del copyright, illustri ipocriti pastori d’anime. Non ce n’e’ per nessuno.

In tempi pre-elettorali, i partiti e i loro politici, le cui posizioni sono solitamente tese solo alla salvezza economica delle città (vedi sindaci e assessori), e contro a prescindere (per chi sta all’opposizione), diventano all’unisono paladini dell’ambiente e garanti della salute dei votanti cittadini. Svelano così la loro ipocrisia, provocando nell’uomo e nella donna comuni, solitamente rassegnati e solo a intermittenza critici sulle scelte dall’alto che determinano il loro destino, l’interrogarsi criticamente nei confronti della politica, chiedendosi ad esempio se limitarsi a non votare sia sufficiente a non essere parte del famoso sistema che ci sfrutta, ci avvelena e ci imprigiona se dissentiamo. Tra le numerose forme di lotta e di resistenza, una delle più criticate per l’etereogeneità dei soggetti che comprende e per l’effetto ‘valvola di sfogo’ che sottrae energie a un movimento di rottura più radicale è quello dei comitati di cittadini, in cui le colate di cemento, la privatizzazione dell’acqua, l’inquinamento dell’aria, per citarne alcuni, vengono contrastati con iniziative di coinvolgimento popolare, raccolte di firme da presentare alle istituzioni, distribuzione di materiale informativo e denuncia di comportamenti illegali, avendo come scopo quello di fermare tali scempi seguendo la via della sensibilizzazione delle varie anime della società civile, creando spaccature in chi appoggia politici e imprenditori coinvolti, screditandoli e costringendo talvolta stampa e informazione a dover spiegare il motivo di tali iniziative di protesta. Nello spezzino ad esempio, sia i dati e le testimonianze di chi da anni si documenta sui danni della centrale elettrica sul territorio, sia gli articoli e i video pubblicati dal comitato ‘via dal carbone’, parlano e mostrano una serie di incongruenze, situazioni di illegalità, mancata comunicazione di notizie su emissioni, sulla qualità del carbone bruciato, sulle coibentazioni in amianto delle tubature in costante vibrazione, da parte di enel e delle nostre care istituzioni. In concomitanza con l’imminente rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale da parte del ministero dell’ambiente e del comune di spezia alla centrale enel, questo comitato ha iniziato l’estate scorsa una raccolta firme, una serie di incontri con i quartieri, presidi itineranti, volantinaggi, ha presentato un esposto alla procura, inviato una serie di comunicati a ordini dei medici, aziende sanitarie e mass-media e ha organizzato una manifestazione con corteo cittadino.

Fino a questo momento la squadra del sindaco ha sempre ignorato ogni richiesta di delucidazione e ogni invito a opporsi a questa autorizzazione ministeriale, finché magicamente, quando il percorso del comitato si è sovrapposto alla campagna elettorale, si è assistito al cambio di rotta dell’assessore comunale all’ambiente, che in modo tristemente schizofrenico ha abbracciato la duplice posizione pro-autorizzazione ambientale e pro-chiusura del gruppo a carbone, il tutto glissando abilmente sull’inutilità dei filtri di depurazione della ciminiera, che non possono in alcun modo trattenere le nanoparticelle (di diametro centinaia di volte inferiore alla sezione di un capello umano), le quali innescano cancro ai polmoni, ischemie e ictus cerebrali, per cui la nostra provincia è ai primi posti in italia.  Questa situazione è determinata dalla logica del maggior consumo, ‘grazie’ alla quale vengono alzati i limiti legali di emissione di sostanze nocive a seconda dei profitti economici e di politiche internazionali di cui mai saremo a conoscenza, ma che tirando a indovinare non guardano alla qualità della vita dei quartieri. Cosa certa è che all’interno di ogni città c’é una forza indiscutibilmente incontrastabile: quella di chi le abita. Cosa succederebbe se tutti disdicessero il contratto enel e passassero alla fornitura delle nuove cooperative che distribuiscono energie da fonti alternative in maniera autonoma? E se contro allo scippo del referendum sull’acqua tutti si autoriducessero del 30% la bolletta dell’acqua? Se nessuno mettesse piede nel nuovo centro commerciale che sorge sopra all’ex area ip che è ufficialmente bonificata solo in parte? Chi ora sta pensando ai posti di lavoro che si perderebbero boicottando aziende del calibro di enel o dei grandi centri commerciali come le ‘tarrazze’ forse ha perso qualche puntata sulle mancate condizioni di sicurezza per cui vengono multate ogni giorno le ditte appaltatrici, sullo sfruttamento degli operai esternalizzati che dormono in furgoni, lavorano in nero in numero certamente superiore a quelli pizzicati pochi giorni fa e per cui i responsabili vengono penalizzati con multe da 1500 euro (per ditte che ne percepiscono centinaia di migliaia per tali appalti). Per questi motivi siamo noi a dover compiere scelte sul tipo di sviluppo verso cui andare, i meccanismi dell’economia ruotano in altra direzione, i governi vengono sostituiti dai tecnici legati a doppio filo a chi è responsabile delle crisi dei nostri paesi. Ripensare la propria città, la propria vita, i beni comuni, obbliga a un ripensamento sui consumi di tutti noi e la partecipazione a questo cambiamento è spesso lenta e complicata, ma più aspettiamo a impegnarci e più sarà difficile, devono andare avanti proposte, studi, realtà che progettino economie sane e umane per tutti, senza confini e discriminazioni. La produzione supera i bisogni di molti di noi e non soddisfa quelli vitali di molti altri.  Opporsi tutti e da subito a questo sviluppo e ai suoi consumi è più che necessario.

Un disastro colposo avvenuto NON per cause naturali

La percentuale dei comuni della Provincia della Spezia a rischio idrogeologico è del 100%

“Il male autentico, il peccato, scaturisce da una discrepanza fra l’essere e il dovere, discrepanza che non esisteva nelle fasi pre-liberali dell’evoluzione”… “La sofferenza e la morte sono fattori d’evoluzione costituenti e di valore neutro nell’evoluzione pre-umana; la sofferenza e la morte causati dall’uomo non sono invece più, in nessun caso, di valore neutro, ma occorre assumersene la responsabilità morale: anche nei casi in cui abbiamo delle buone ragioni per far risalire ai nostri geni la tendenza, insita in noi, a uccidere, ad angariare e a torturare il prossimo”.

Mohr Hans, Natural und Moral – Ethik in der Biologie, cit., pag.105

Qualcuno potrebbe dire, come spesso accade, che davanti ai drammi ed ai disastri, bisogna soprassedere su tutto. Noi non ci stiamo. Un disastro colposo ha responsabili precisi e questi vanno indicati e possibilmente perseguiti, soprattutto nel momento in cui hanno anche arroganza e spocchia, dovrebbero essere, all’istante buttati fuori da ogni ambito della Pubblica Amministrazione. Non ci saranno mai abbastanza parole per esprimere l’amarezza e l’indignazione per quello che è accaduto il 25 ottobre scorso. Ciò che si è verificato tra l’estremo levante ligure ed il nord della Toscana è stato un disastro annunciato. Non è la pioggia, tanta indubbiamente, caduta sulla Liguria la “responsabile”, non lo è perché la situazione critica, ovvero le “criticità”, le avvisaglie vi erano state tutte: allagamenti, esondazioni, alluvioni, si sono ripetute anno dopo anno. Un promemoria che diceva quanto il territorio era fragile e quanto fosse urgente porvi rimedio. Invece nulla si è fatto! E non è di certo la partecipazione (il 21 marzo a Vernazza) alla giornata di lavoro “Dall’emergenza alla prevenzione, risorse e politiche per il territorio” del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in compagnia del Ministro dell’Ambiente Clini e al capo della Protezione Civile Gabrielli che riuscirà a rincuorarci. Anzi ci si chiede che tipo di prevenzione vogliano attuare, visto che all’ordine del giorno dei lavori non è stato invitato nessuno che abbia delle vere competenze (in questo tempo di tecnici) sul dissesto idrogeologico, magari un geologo, che possa illuminare i nostri politici su cosa sia e come intervenire rispetto a: dissesto franoso, allagamenti e alluvioni, esondazioni dei fiumi, arretramento dei litorali, subsidenza del terreno, siccità e mareggiate. Ben sappiamo che gli Enti Locali, la Provincia, la Regione Liguria ed il Governo, sono troppo impegnati a predicare grandi opere e grandi speculazioni, per stanziare i fondi e occuparsi seriamente della messa in sicurezza del territorio. Non è passato molto dalla scoperta che il blocco di potere intriso di illegalità dell’ex uomo forte del Pd e Legambiente, Bonanini Franco, alle Cinque Terre dilapidava i fondi anziché fare ciò che doveva per la tutela del Parco, ben oltre alle pure operazioni mediatiche e clientelari. Abbiamo assistito a nuovi grandi progetti di speculazione edilizia, tra La Spezia e Sarzana sino alla foce del Magra, spingere e spingere ancora per nuovo cemento, nuovi insediamenti, nuovi centri commerciali. Anche la Procura di Spezia ha pesanti responsabilità perché davanti all’abusivismo diffuso ed alle speculazioni palesemente incompatibili con lo stato del territorio, per lunghi anni, per troppi lunghi anni, è rimasta inerme, immobile, distratta. E non è certo un caso che la pesante inchiesta  “Mani Unte” sulla cricca del Parco delle 5 Terre sia esplosa in coincidenza con il pensionamento dell’ex Procuratore Capo, Scirocco. Dalle amministrazioni locali alla Regione Liguria, passando per le banche e le grandi Cooperative, è da anni che in questo territorio, in continua escalation, si cercano solo nuove possibilità per cementificare, mettendo a repentaglio l’ambiente circostante. Per anni le avvisaglie sono state costantemente ignorate e quando è giunta la tragedia ci si è sentiti dire da tutti che “è stata una calamità”, quando invece è stato il frutto della devastazione! Certo: purtroppo senza soldi non si fa nulla, ma perché i soldi per le cosiddette grandi opere si trovano (Tav, Terzo Valico, Gronda, Pontremolese, Piattaforma Maersk) e per mettere in sicurezza il territorio no? Ma perché per approvare i progetti speculativi degli “amici” il tempo si trova e per affrontare le reali problematiche del territorio no? L’area che va da La Spezia alla Lunigiana è terra dove a discapito del territorio e dell’ambiente, chi ha governato (tenuta sotto scacco dal regno cementifero dell’andrangheta) lo ha fatto solo per i propri interessi. Questa terra, dai Cantieri Navali all’entroterra di Sarzana, è diventata terra sicura per le mafie, così come lo erano discariche, cave e Porto. Con l’emergenza arrivano più soldi da gestire (65 milioni di euro) e chi li gestisce lo può fare in deroga a molte norme, mentre altri possono incassare ben di più di quanto le povere casse degli Enti locali possono offrire in assenza dei disastri che, con distruzione e drammi, portano anche stanziamenti straordinari! Anche questa volta ci sentiremo impotenti lasciando che gli affari per certi ambienti vadano sempre a gonfie vele a dispetto delle nostre vite e del nostro territorio sempre più violato e fragile?!

di GM

Chiunque, certamente, avverte come i fenomeni meteorologici estremi si manifestino con una violenza sublime e spettacolare. Le piogge sempre più forti mettono in crisi il sistema idrologico, il disboscamento e l’urbanizzazione delle piane alluvionali non fanno che acuire il problema. Eppure, una volta, le feste primaverili festeggiavano lo straripamento dei fiumi e non i suoi gravi disastri per la pubblica sicurezza. L’alluvione era il vivere quotidiano, un patrimonio culturale e ambientale. Questo perchè è un fenomeno naturale che non si aveva intenzione di “limitare”. Poi si cominciò a credere che fosse possibile prevenire un’alluvione e limitarne i danni. Questo ha portato piano piano a realizzare interventi strutturali di grandi proporzioni: dighe, argini, terrapieni, deviazione dei letti dei fiumi. Oggi l’Unione europea ha seguito vari indirizzi di ricerca, nell’ambito di una strategia generale intesa a limitare gli effetti devastanti delle alluvioni. Vi sono due approcci principali: prevedere e gestire il rischio alluvione; e gestire le risorse idriche in modo integrato a livello di bacino idrologico.  Se, per il primo aspetto, ci si vanta di aver attuato notevoli investimenti nello sviluppo di tecnologie per la previsione, tali da annunciare tempestivamente dove e quando colpirà l’alluvione e da modellizzare il comportamento a lungo termine dei fenomeni meteorologici è pur vero che i provvedimenti strutturali riescono solo a spostare il problema in altre zone e a creare nuovi problemi. E soprattutto hanno conseguenze disastrose in caso di cedimento strutturale, come si è verificato a Vernazza. Questo sentimento di previsione anticipata degli eventi ha permesso a molti di vedere notevoli possibilità di guadagno speculativo anche su terreni estremamente fragili e provati. Si rassicurano le comunità sulla sicurezza delle previsioni e sull’impossibilità di eventi catastrofici per autorizzare la violenza delle costruzioni, senza altra utilità che quella del guadagno di pochi (è il caso del parcheggio di Monterosso, dell’outlet di Brugnato…) Ma quali sono state effettivamente, nei luoghi dove si sono verificati questi eventi, le valutazioni sui rischi delle strategie di pianificazione urbana e le prospettive di organizzazione sociale delle diverse comunità? La gestione dei bacini idrologici è diventata uno strumento indispensabile, delegato alle istituzioni. Il suo scopo consiste nel migliorare i meccanismi naturali di protezione dalle alluvioni: tutela dei boschi, del manto di vegetazione, delle zone umide e del suolo. Questo approccio rispettoso dell’ambiente protegge gli ecosistemi permettendo al tempo stesso lo sviluppo sostenibile del territorio e delle risorse idriche. Certamente questo sarebbe vero se le istituzioni se ne occupassero invece di passare il tempo ad ingrassare. Chi si deve occupare della tutela dell’ambiente in cui vive? Chi meglio di chi “vive” il territorio comprende le complesse interazioni che avvengono tra i fattori fisici, ecologici, climatici e umani. L’alluvione ha annacquato tutti gli strumenti, già logori, della vita sociale. Questo perchè, evidentemente, le potenzialità di peggiorare una situazione sono oggettivamente più semplici e rapide rispetto alla capacità di migliorare gli eventi. Le bombe d’acqua avrebbero dovuto suggerire di rendere desolanti le aspettative e le prospettive del modello economico che ha partorito il disastro, avrebbe dovuto suggerire prudenza nei confronti dei maghi stregoni dei modelli di prevenzione. Soprattutto per quanto riguarda i metodi e gli  indirizzi delle attivitá commerciali, dell’agricoltura, dei servizi pubblici e di tutte quelle attività avvelenate dal controllo dello Stato. Tutto era stato raso al suolo e tutto si vuole ricostruire.  I partiti ed i loro rispettivi leader, allo stesso modo dei giornalisti, hanno mostrato, con fermezza, il proprio atteggiamento demagogico ed opportunistico, presenziando nei giorni di festa al seguito di macchine fotografiche, flash e telecamere. Affrettandosi a diffondere il verbo del “tutto é bene quel che finisce bene”. Quando queste facce da prima di copertina parlano di ripresa, alludono al rapido rinascere delle attività del paese.  Delle cause del disastro nessuno si interroga. Per contrastare l’atteggiamento diffuso  (nonostante le esperienze che dovrebbero essere note e che riguardano i terremotati dell’Aquila) di quanti continuano ad aspettare, da Roma o dall’Europa, la ricostruzione, riteniamo di rispondere, per mezzo dell’azione diretta, a dimostrazione che é possibile e  necessario applicare ai problemi presenti l’azione libertaria della libera iniziativa, attraverso associazioni locali autonome. È nato un comitato che si propone lo scopo di autogestire il territorio, condividere le fatiche e le soddisfazioni che verranno attraverso il ripristino del territorio, la formazione di gruppi di volontari per la coltivazione di orti e frutteti, la costruzione di muretti a secco, la ricerca e la sperimentazione di metodi alternativi di produzione di energia e consumo e svago estranei alle logiche di mercato.

Ricreare uno spirito di comunità e di condivisione è il nostro scopo. Gli sforzi che si stanno compiendo per la ricostruzione del paese sono concentrati attorno alle attività economiche a dimostrazione del fatto che la premura delle istituzioni é quella di ripristinare lo stato di assoggettamento al potere economico. Si ricostruiscono le comunità facendo riaprire negozi e attività commerciali. Se é indubbio il fatto che i commercianti abbiano subito pesanti perdite e che la popolazione sia assoggettata al dominio  di tali attività, non si puó non considerare il fatto che la priorità sia, invece, quella di rimettere in sicurezza e rendere abitabili i luoghi colpiti dal disastro, senza delegare alle istituzioni ed alla propaganda elettorale dei partiti politici, il compito di gestire  la conservazione e la ricostruzione del territorio. Nessuno si interroga sulla causa di tali disastri. L’umanità che abitava questi luoghi é stata spazzata via dalla natura che si ribella alle nostre attività, come farebbe il corpo umano con una malattia.  I muretti a secco, che sono il motivo di orgoglio di questo territorio, sono crollati perché gli uomini hanno smesso di occuparsi delle campagne a causa del fatto che é diventato piú conveniente e meno faticoso fare profitti sfruttando il consumismo ed il turismo commerciale. Cosentino, ex commissario del parco nazionale delle Cinque Terre, ha affermato che i giovani non sanno nemmeno come si costruiscano e come si rimettano a posto i muri caduti. La verità é un’altra. Occuparsi delle terre non é remunerativo e soprattutto piú faticoso che aprire un bar nelle vie di passeggio dei milioni di turisti che invadono ogni anno questi luoghi. Le attività commerciali utilizzano prodotti per il consumo che derivano dalle piú remote località, imballati con plastica e trasportati per chissà quanti chilometri.  Non sono previste forme di incentivo per l’utilizzo di prodotti a km 0 e così i negozi “comprano e vendono”. Il risultato reale delle politiche ambientali sul territorio é stato quello dell’abbandono delle coltivazioni locali a favore della grande distribuzione commerciale. Se i giovani non si occupano della terra non é per egoismo ma perché piuttosto il costo degli immobili é alle stelle, perché si é perso un senso di comunità a vantaggio di una mentalità che fa percepire la ricerca del profitto e della soddisfazione frenetica di bisogni indotti la ragione delle esistenze umane e in questa logica di perversione dell’umanità non ti permette di lavorare la terra ed avere un’esistenza dignitosa. Eppure, abbiamo scoperto che esiste una cosa ancora meno dignitosa. E’ l’arroganza di una mentalità che dobbiamo rovesciare. Quella del credere che il modello di sviluppo esistente sia l’unico modello praticabile, quella di ritenere che bisogna pagare per avere, che dobbiamo lavorare per accumulare e vendere e non perdere occasione di offendere le nostre intelligenze ed i nostri gusti personali, uniformando un paese alle logiche affaristiche.

A quanti non si vergognano di fare prediche dall’alto dei loro scranni sventolando quattrini e sfoderando penne, rispondiamo che le vostre belle parole per noi valgono meno delle vostre alte cariche.

Rifiutiamo le logiche dalle seggiole che riscaldano sederi flaccidi, siamo un comitato orizzontale, tra di noi non ci sono capi, non veniamo pagati per fare quello che facciamo, lo facciamo e basta. Le nostre decisioni vengono prese all’unanimità. Non ci importano i principi di maggioranza. Ogni euro ricavato come utile dalle nostre attività viene utilizzato per finanziare i progetti futuri.

Siamo al punto zero, é il momento di darsi da fare come la furia dell’acqua ha fatto con noi. Ognuno è responsabile della propria vita e delle proprie scelte. L’autogestione può potenzialmente diffondersi ovunque… e questo noi lo incoraggiamo. In sostanza finisce peggio solo quando non ci interessa davvero, quando si dice “eh ma tanto…” e si abbandona.

E’arrivata, a Spezia per buona sorte dei soliti potenti locali, l’ennesima nocività industriale e, questa volta potremo dire di livello mondiale. Infatti quello che sbarca nel golfo ligure, come se non bastavano l’ENEL, l’OTO MELARA, il porto e tutte le varie schifezze tecnoindustriali, grazie alla commessa aggiudicata all’azienda A.S.G.Superconductors proprietà della famiglia genovese Malacalza, è qualcosa che va oltre i confini degli stati e ci rende complici, noi presunti antinuclearisti, di un progetto di fusione termonucleare chiamato I.T.E.R., il reattore sperimentale di nuova generazione che verrà realizzato in Francia nel sito di Gadarache. Non è passato un anno, dall’esito positivo al referendum che abrogava la proposta di legge per la costruzione di nuove centrali nucleari sul territorio nazionale e nonostante la vittoria legale ottenuta con tanta partecipazione, pare sia cosa già dimenticata (come del resto è dimenticato anche il quesito sulla privatizzazione dell’acqua). Il problema sembrava risolto, il volere popolare sembrava chiaro a tutti, nessuno voleva continuare sulla via del nucleare e invece, proprio qui nella nostra città, a fianco alle nostre case, davanti ai nostri occhi increduli, si innalzano le mura di quello che sarà un problema in Francia, così come in Italia e in ogni paese che in barba all’opinione pubblica continua a investire  nell’affare del nucleare, portando alle solite conseguenze di sfruttamento e inquinamento delle aree di estrazione, lavorazione, controllo e ovviamente di ricerca bellica.

Il nucleare ci uccide, e non importa che si costruiscano solo componenti che poi andranno a km di distanza…non vi pare?

Cos’è questo nuovo affare italiano?

Nel 2010, a Cadarache nel sud della Francia, sono iniziati i lavori per la costruzione del più grande progetto mondiale, un reattore a fusione termonucleare denominato I.T.E.R. (International Thermonuclear Experimental Reactor) il quale ha l’obiettivo di verificare in 20 anni «La fattibilità scientifica e tecnica della fusione termonucleare come nuova fonte di energia». Al colossale e costosissimo progetto partecipano 34 Paesi che puntano a realizzare nel novembre 2019 il “primo plasma” dell’ I.T.E.R. che è finanziato da Ue, Usa, Giappone, Corea del sud, Cina, India e Russia. Si stima che la sola fase di costruzione dell’ I.T.E.R.  costerà 12,8 miliardi di euro in 10 anni. Il nuovo accordo adottato formalmente dal Consiglio e dal Parlamento europei si basa su: 100 milioni di euro già inclusi nel bilancio 2012 dell’Ue destinati all’ I.T.E.R.;  360 milioni di euro promessi nel bilancio 2013 dell’Ue; 840 milioni di euro provenienti dai maggiori finanziamenti per la competitività per la crescita ed il lavoro: 650 milioni di euro nel 2012 e 109 milioni di euro nel 2013. I soldi per il nucleare I.T.E.R. saranno presi da un taglio di spese per le risorse naturali (450 milioni di euro nel 2011) e dell’amministrazione (390 milioni di euro nel 2011 e 2012). Ed è proprio nel 2010 che l’A.S.G. del gruppo Malacalza, aggiudicandosi una commessa del valore di circa 120milioni di Euro per la fornitura di dieci bobine magnetiche per I.T.E.R., entra in trattativa con la Regione Liguria, il Comune della Spezia e i sindacati per l’acquisto del sito più adatto alla realizzazione dell’impianto, ovvero l’ex area S.Giorgio. Per Davide Malacalza, presidente dell’A.S.G. ‹‹ Lo studio della fusione (termo)nucleare è un campo in cui l’Europa vanta un’eccellenza ››, e agginge ‹‹ chi riuscirà per primo a tradurre sul piano industriale i vantaggi potenziali della fusione nucleare avrà sostanzialmente risolto il problema dell’inquinamento. E’ un business molto distante da quello siderurgico da cui proviene la nostra famiglia, ma estremamente affascinante.

E poi vuol dire guardare davvero al futuro del nostro pianeta ››. Omettendo o ignorando, che il progetto ITER è un esperimento atto a dimostrare la possibilità di accendere un piccolo sole sul nostro pianeta, utilizzando come combustibile il Trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno e che fughe accidentali di Trizio potrebbero avere conseguenze non diverse da quelle prodotte da incidenti nucleari da fissione. In sostanza, un reattore a fusione termonucleare produrrebbe una quantità di radioattività appena inferiore a quella di un reattore a fissione ordinario della stessa potenza. Di tutto ciò pare all’oscuro anche il sindaco della Spezia Massimo Federici, uno che viene dalla sinistra ‘equo-solidale’, dichiarandosi orgoglioso dell’insediamento di questa azienda , così come lo sono la sua giunta e i sindacati (tutti), ovviamente eccitati oltremodo dai risvolti padronali…ops, occupazionali!

Ma questa volta, nemmeno la scusa occupazionale può salvare la faccia a nessuno, visto che dai 130 posti di lavoro concordati coi sindacati in fase di trattativa per gli ex lavoratori Spel si sia passati a 35 assunzioni a tempo determinato della durata massima di 5 anni (questo il tempo necessario per la costruzione delle 10 maxi bobine Winding pack destinate al progetto ITER),  e chissà tra 5 anni cosa deciderà di produrre alle Pianazze il gruppo Malacalza, potenza della siderurgia ligure, visto che attraverso il suo amministratore delegato l’ingegner  Ferruccio Bressani, non fa mistero dell’intenzione di individuare altre aree nell’area spezzina, per poter ampliare le capacità produttive in vista di altre commesse di materiali superconduttivi, perché ‹‹Malacalza vede La Spezia come un punto strategico per la sua attività››, come sicuramente vede strategici per i propri interessi tutti quei lavoratori cassaintegrati della ex Ocean-S.Giorgio, privati dei loro diritti e svenduti da quei sindacati che dovrebbero fare di tutto per garantirglieli…la cosa dovrebbe farci tremare, non ci vuole molto per comprendere quanto schifosa sia questa società, questo sistema sociale, politico, economico, culturale, stanno investendo milioni di Euro per rendere invivibile e nociva la  nostra città, i nostri territori, il nostro golfo e le nostre vite. E se la famiglia genovese guarda agli sviluppi della fusione termonucleare nucleare, la tradizionale frontiera delle centrali a fissione registra segnali vivaci anche da altri versanti della piccola e media industria hi-tech ligure. E’ il caso della Demont di Millesimo (Savona), che si è assicurata una commessa, del valore di 23 milioni, per fornire impianti di condizionamento alla centrale slovacca di Mochowce. O della Termomeccanica di La Spezia, che figura in pole-position per le pompe da destinare alle caldaie delle nuove dieci centrali programmate dal governo indiano. E, ancora, il caso della D’Apollonia, società genovese di ingegneria, che è impegnata in alcune commesse in Romania e Argentina. O della Tecnospamec, anch’essa di Genova, che ha fornito alla General Electric un sistema per pulire le vasche contaminate degli impianti nucleari. Sembra proprio che tutti se ne freghino altamente di qualsiasi esito referendario, dalle università ai centri di ricerca, dalle imprese ai finanziatori (banche in primis), la classe politica tutta, ostinandosi in questo cammino, eppure sanno bene che esistono alternative molto più efficaci, sicure e meno costose come le tecnologie che usano le fonti rinnovabili e quelle che aumentano l’efficienza energetica. A questo punto, dovremmo riflettere su quanto potrebbe pesare il nostro silenzio, la nostra passività di fronte a tale operazione; sin dall’annuncio della commessa, all’accordo tra comune e azienda per il sito, ai mesi di tranquillo lavoro a tale progetto, non si è visto alcun interesse da parte di nessuno, si continua tutti a fare finta di niente. Invece di motivi per alzare la testa ve ne sono molti, per muoversi contro, ostacolare, sabotare, con mille modi per riprendersi quella dignità che giorno dopo giorno viene calpestata da continui soprusi e prepotenze. Basta essere complici di chi produce morte, di chi sfrutta e avvelena in modo scellerato il pianeta e le nostre vite.

Pagina successiva »