di DT

Parlare di sviluppo sostenibile vuol dire pensare ad uno sviluppo che fornisce elementi ecologici, sociali ed opportunità economiche a tutti gli abitanti di una comunità e di quelle a venire, senza creare una minaccia alla vitalità del sistema naturale, urbano e sociale che da queste opportunità dipendono. Ciò significa che le tre dimensioni economiche, sociali ed ambientali sono strettamente correlate, ed ogni intervento di programmazione deve tenere conto delle reciproche interrelazioni. Nel 1983, nel saggio Il declino dell’uomo, Konrad Lorenz scriveva che: “l’espressione “sviluppare un’area” ormai significa spianare, cementificare e poi vendere al miglior offerente”, questa oggigiorno è l’ideologia trasversale degli affaristi e politici di qualsiasi colore politico, delle multinazionali, è il pensiero che corre alle grandi opere, ai bulldozer, al cemento che avanza e soffoca quel poco di natura che ci è rimasto, facendo aumentare, parallelamente al PIL, anche inquinamento e malattie.  L’idea di sviluppo soprattutto negli ultimi decenni, è stata principalmente la crescita economica, la crescita del PIL, ritenendo l’economia la struttura basilare su cui poi sviluppare tutto il resto, ma l’espansione della base economica e tecnologica, che è stata straordinaria, non ha affatto garantito lo sviluppo di tutto il resto (sociale, urbano, etc.), anzi quest’ultimo è stato penalizzato dagli effetti collaterali della crescita economica, che oggi si configura come la principale emergenza del nostro tempo, peraltro inseparabile dalle ripercussioni ambientali che ne derivano. Le ricerche risalenti al 1997 di Robert Costanza, basate sulla raccolta di tutti gli studi sino ad allora pubblicati, dimostrarono che in un anno i 17 servizi degli ecosistemi (dalla regolazione del clima ai cicli idrici, dall’impollinazione alla formazione del suolo ecc.), forniscono servizi il cui valore è quasi il doppio del PIL mondiale (vedi The value of the world’s eco system services and natural capital, Nature, 15 maggio 1997).  Ciò significa che anche dal punto di vista strettamente economico la natura è molto più importante dell’attività umana (anche se potenziata dalla tecnologia), senza scordarsi che la crescita economica sperpera progressivamente il capitale naturale costituito dagli ecosistemi. E’ ormai evidente che le idee-forza della modernità, incentrate sulla crescita, hanno fatto il loro tempo: continuare a seguirle oggi, anche solo per inerzia, avrebbe il sapore dell’irresponsabilità e dell’analfabetismo culturale.  Chi lo dice? Non occorre scomodare nuovamente Robert Costanza, o Serge Latouche sostenitore della Decrescita, è sufficiente citare studi diffusi dalla Commissione Europea. L’economia degli ecosistemi e della biodiversità (2008): è uno studio voluto dall’allora Commissario per l’Ambiente Stavros Dimas, condotto da Pavan Sukhdev (economista indiano e Direttore di TEEB) e da un nutrito gruppo di esperti di levatura internazionale. Lo studio mette in luce che il sistema di calcolo della ricchezza, cioè del PIL, è “vecchia e difettosa”, perché non considera in modo adeguato gli effetti collaterali della crescita, il degrado degli ecosistemi, le catastrofi climatiche ed ambientali e il peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni legate ad economie di sussistenza direttamente a contatto con gli ecosistemi, registrando in modo definitivo lo scollamento tra PIL e benessere, lo studio fa luce sui legami esistenti tra la perdita di biodiversità e la povertà, si propone anche di individuare strategie alternative producendo una tesi economica completa a favore della conservazione degli ecosistemi e della biodiversità.  Nonostante le ricerche di Sukhdev siano legate ad una chiave di lettura economica e per questo criticabile perché penso sia rischioso quantificare il nostro pianeta a livello monetario, credo anche che in questi tempi dove tutti masticano e parlano di economia sia un modo per far comprendere ai più l’importanza degli ecosistemi e che cosa ci sia in gioco.

Più recentemente, nel 2009, la rivista ufficiale della Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea, con la collaborazione della Commissione Sviluppo Sostenibile del Regno Unito, si è spinta a promuovere Prosperità senza crescita di Tim Jackson, un libro che riassume lo stato attuale delle nostre conoscenze sulla crescita economica e che dimostra in modo convincente che la crescita così come viene intesa oggi dovrebbe finire, ovvero che la prosperità per pochi, basata sulla distruzione ecologica e sulla continua ingiustizia sociale, non può stare alla base di una società civilizzata ma che vi è bisogno di un rinnovato senso di prosperità condivisa. Le ricerche di Jackson mostrano che una volta soddisfatti i bisogni primari la felicità delle persone non cresce proporzionalmente al reddito, anzi dimostra che gli effetti positivi di vivere in una nazione ricca diminuiscono e che i vantaggi aggiuntivi in termini di speranza di vita si riducono notevolmente con l’aggravarsi di malattie come quelle dell’apparato respiratorio, l’obesità, le coronaropatie, diabete, ictus, depressione, arrivando alla conclusione che per un futuro realmente prospero bisogna che l’uomo recuperi la profondità e la complessità della propria natura, rivalutando ciò che è stato sacrificato alla logica capitalista e consumistica. Jackson ribadisce che la prosperità è un concetto che va al di là del benessere puramente materiale e che contiene in sé una serie di valori che trascendono il materialismo.

A seguito degli studi e delle considerazioni critiche sopra citate, e di molto altro ancora, è palesemente giunta l’ora di prendere consapevolezza che la crescita così come viene intesa dal sistema in cui viviamo è ormai antieconomica ed antiecologica e sopratutto improponibile come modello di sviluppo da perpetrare.

Da qui ben vengano le ricerche di nuovi stili di vita, incentrati sulla sostenibilità, sui comportamenti virtuosi, sul consumo consapevole, sull’autoproduzione, sul risparmio energetico, sul riciclaggio, sull’agricoltura biologica, sulle energie alternative, etc., perché se non saremo capaci di connettere seriamente l’economia, l’ecologia e il sociale nei nostri modelli di sviluppo sarà veramente difficile fare passi in avanti verso un mondo che non ci si rivolti contro.

“Nessun sottosistema di un sistema finito può crescere all’infinito: è una legge fisica”. Tim Jackson – Prosperità senza crescita , cit. pg. 61.